Dopo le anteprime "notturne" di poche settimane fa, arriva finalmente nei cinema di tutta Italia distribuito da PiperFilm Parthenope, il nuovo, bellissimo film del regista napoletano, fonte inesauribile di stupore e commozione. Ce lo racconta, nuovamente, Federico Gironi.
Secondo la leggenda, Partenope era, con Ligea e Leucosia, una delle tre sirene che, con il loro canto, ammaliavano i marinai per poi divorarli. Quando non riuscirono nel loro incanto con Ulisse, frustrate, si uccisero gettandosi in mare. Il corpo di Partenope, trascinato dalle correnti, raggiunse la terraferma alla foce del fiume Sebeto: lì dove poi i Cumani avrebbero fondato Neapolis, e dove oggi sorge Castel dell’Ovo.
Parthenope, con quella vezzosa e ostentata “h”, nasce invece dalle acque del golfo napoletano, nei pressi di una delle tante, splendide ville sul mare della zona di Posillipo, e Napoli non la indica, né la fonda, ma la scopre, nella sua meraviglia e nelle sue oscenità, nella sua eleganza e nella sua trivialità. Così come scopre la vita, le sue altezze, i suoi abissi.
Come ci aveva raccontato nel precedente È stata la mano di Dio, il giovane Paolo Sorrentino aveva lasciato Napoli per Roma, e quindi per il suo sogno di cinema; a Napoli era tornato per il suo esordio, quell’Uomo in più che nel 2001 chiarì a tutti che nel cinema italiano era emerso dalle acque un nuovo autore con il quale avremmo dovuto fare i conti, e per vent’anni non c’era tornato.
Lo fa adesso, per la seconda volta, con un film che, parlando di una ragazza bellissima e dalla risposta sempre pronta, parla di una città, ma ancora di più parla della vita. Della giovinezza, soprattutto: quasi come in Youth, che in realtà, a dispetto del titolo, era un film sulla vecchiaia, e sullo spettro della morte.
Parthenope: il trailer ufficiale del film di Paolo Sorrentino
Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove Sorrentino è di casa, avendo presentato sulla Croisette Le conseguenze dell’amore, L’amico di famiglia, Il Divo, This Must Be the Place, La grande bellezza e il citato Youth, e dove il regista ha fatto quell’ingresso in sala per la proiezione ufficiale del film che sui social è diventato immediatamente “virale”, Parthenope è un film straordinario, strabiliante e commovente, figlio di un autore che ha chiaramente una sensibilità elevatissima (“Ero destinato alla sensibilità”, faceva dire Sorrentino a Jep Gambardella) e una capacità inusuale di raccontare le cose grandi e piccole attraverso un filtro personalissimo e, paradossalmente, tutt’altro che minimalista.
“Al cinema mi sono potuto lasciare andare”, ha dichiarato Sorrentino in un’intervista pubblicata sul Venerdì di Repubblica. “Divento coraggioso e spericolato, ridondante, perfino barocco: in tanti me lo rimproverano. Ma non me ne frega niente, lasciatemi fare quel che cavolo mi pare. Poi ci sono quelli che vogliono il rigore. Ma il rigore al cinema da me non l’avrete mai”.
E per fortuna, aggiungerei io. Perché di rigore, spesso fasullo, ostentato e formalista, è pieno un cinema italiano che troppo spesso pensa che atteggiandosi a pensoso, possa fare a meno di una sostanza.
“A Parthenope affido l’ultimo paradosso di cui parla la letteratura: la vera conoscenza arriva quando resta poco da vivere”, ha detto Sorrentino nella stessa intervista. “Più vai avanti negli anni, meno ti innamori, meno ti diverti, diminuisce anche la tua capacità di meravigliarti. Però riesci a vedere le cose, a vederle in profondità”. Sorrentino ha appena 54 anni, ma la profondità delle cose riesce a vederla benissimo, e a raccontarla con le parole e le immagini, importantissime entrambe ma soprattutto fondamentali se intersecate, come sempre dovrebbe essere il cinema, che è immagine in movimento ma anche parola, discorso, dialogo.
Mai come prima d’ora nel cinema di Paolo Sorrentino, la sceneggiatura di Parthenope è costruita su frasi apodittiche, risposte che sono aforismi, dichiarazioni epigrafiche: non è vezzo, non è maniera, è il modo di che Sorrentino ha di fare autoironia sul suo stile, ma anche di raccontare come l’ossessione dell’ultima parola, della risposta pronta, e quindi del tentativo di controllare le cose del mondo e della vita con le proprie capacità, sia spesso esercizio vano, per quanto divertente e, in fondo, necessario.
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Quelle parole, quelle risposte, Sorrentino le mette in bocca alla sua nuova scoperta, la Celeste Dalla Porta che interpreta la bellissima e libera Parthenope, ma anche a un gruppo di attori straordinari, che dimostrano di comprendere appieno il disegno del regista, le sue intenzioni, i suoi scopi.
Tre di loro meritano di essere ricordati.
Il primo è Gary Oldman, che ha momentaneamente lasciato i set della bellissima serie di spionaggio Slow Horses, e i panni luridi di Jackson Lamb, per calarsi in maniera commovente in quelli dello scrittore americano John Cheever, che a Capri incrocia la sua strada con quella di Parthenope e che rimane sconvolto e commosso dalla potenza della gioventù incarnata dalla ragazza (Cheever, che non è l’unico scrittore citato esplicitamente o implicitamente in un film che si apre con un esergo di Louis-Ferdinand Céline e che non fa mistero del suo debito nei confronti di Raffaele La Capria; d’altronde Sorrentino, forse ancor prima di essere un grande regista, è un grande scrittore).
Il secondo è Silvio Orlando, che per Sorrentino è stato l’incredibile cardinal Voiello di The Young Pope e di The New Pope, e che qui invece, in una delle interpretazioni migliori di tutta la sua notevole carriera, è Devoto Marotta, professore di antropologia che per Parthenope diverrà un mentore riluttante, e sarà colui che le aprirà gli occhi sulla meraviglia contraddittoria di una vita che non è solo cristallizzata nella giovinezza.
Il terzo è Peppe Lanzetta, ovvero il cardinale Tesorone, vescovo di Napoli e personaggio ambiguo, “farabutto”, “seduttore”, incarnazione dell’abbraccio inestricabile tra sacro e profano che è Napoli, che è la vita, che è il cinema di Sorrentino. È lui che vede in Parthenope, e quindi nella gioventù e nella bellezza, “una santa e un mistero”. È lui che la spoglia, senza ipocrisia e dall’ipocrisia, e la lascia di fronte all’idea di rivestirsi di vita nuova, e adulta.
Ci sono momenti, immagini, scene di Parthenope che rimarranno indelebili nella mente e nel cuore degli spettatori che sapranno abbandonarsi a quel marasma di meraviglia, stupore, bellezza, tragedia, caos, solitudine e libertà che è il film di Paolo Sorrentino. Ognuno troverà il suo dettaglio, la sua battuta, il suo momento. Tutti, ne sono certo, si porteranno appresso i brividi di un ballo a tre, sublime e drammatico, sulle note della canzone di Riccardo Cocciante che Sorrentino ha recuperato dal passato e spinto verso l’immortalità.